Mc 3,20-21
Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare.
Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé».
*
Nella prima lettura Saul e Gionata muoiono in battaglia e non appena Davide riceve la notizia si straccia le vesti. È disperato, con l’animo lacerato. Il dolore lo porta a dichiarare l’affetto per Saul e l’amore per l’amico Gionata entrambi descritti come buoni, gentili e forti.
Davide non dà spazio a istinti umani perché è impegnato a intonare il lamento, ossia a pregare per i suoi amici. Nel dolore abbiamo due possibilità: o ci facciamo prendere da rabbia e disperazione perdendoci in azioni e parole insensate, oppure ci affidiamo al Signore e scarichiamo a Lui il nostro dolore con quella retta coscienza e con quella saggezza tali da evitare di scadere in luoghi comuni, improperi inutili e discorsi lontani da Dio che inquinano il nostro cuore e creano scandalo in chi ci sta intorno.
Allo stesso modo Gesù opera il digiuno per unirsi più intimamente al Padre. Il successo delle guarigioni rischierebbe di far perdere di vista il centro della fede che è in Dio Padre: è Lui che opera e per tenere sempre bene a mente questo, bisogna restare in contatto con Lui.
“È fuori di sé” potrebbe essere un modo per offendere qualcuno dandogli dell’irragionevole, ma la ragione la conosce chi è abitato da motivazioni che lo spingono a una determinata azione, anche se agli occhi esterni può risultare fuori dalla “norma”.
Tuttavia essere fuori di sé è una gran bella cosa per chi vive la fede, perché significa che si sta svuotando di se stesso, sta uscendo da sé, per lasciare spazio a Dio che lo abiti. Un uomo pieno di Spirito Santo è sempre fuori di sé, perché sta mettendo da parte la propria umanità e sta facendo prevalere la sua spiritualità quella che ci riporta e ci lega al Padre.
- ripeti sempre: Padre, per mezzo del tuo figlio Gesù, riempimi del tuo Spirito.
don Domenico Bruno
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