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Mt 8,5-11
Entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».
*
L’Avvento è il tempo in cui si attende la venuta del Signore, e il verbo “venire” fa da padrone in questo brano appena ascoltato. Ma la venuta di Gesù per noi cristiani non è il ricordo di un momento passato, avvenuto 2000 anni fa, bensì un ri-cordare, un riportare al cuore e, quindi, un ri-conoscere e ri-vivere quel momento.
Benché non fossimo presenti alla nascita di Gesù, non è detto che non possiamo avere gli stessi atteggiamenti delle persone direttamente coinvolte in quel tempo: attendere, prepararsi, temere, riconoscere e adorare.
Attendere, ossia tendere verso, andare incontro al momento in cui Dio si fa uomo e quindi caricarci di entusiasmo, di buoni propositi.
Preparare, cioè rendersi pronti, predisporsi con preghiere e attenzioni verso chi ci è accanto, aiutandolo a prepararsi a sua volta, per mettersi nelle condizioni di celebrare al meglio l’evento col quale Dio viene ad abitare in mezzo a noi.
Temere nel senso di rispetto: ogni volta che temiamo qualcuno, che lo rispettiamo, ci proponiamo di non deluderne le aspettative e quindi ci impegniamo al doppio. Maria e Giuseppe hanno temuto Dio, cioè avevano preoccupazione di custodire il Suo frutto che cresceva nel grembo della Vergine. E per Lui si danno molto da fare.
Riconoscere. È il verbo dei pastori, dei magi e di quanti accorrono al vedere la stella: ri-conoscono che in quel bambino c’è il divino. È una conoscenza che deriva da un cuore puro e libero che non necessita di prove, diversamente da quanto accade alle guardie che riconoscono Dio nel crocifisso solo dopo gli eventi prodigiosi che sono accaduti.
Adorare significa portare alla bocca, quasi per integrare con se stessi chi abbiamo di fronte per portarlo sempre dentro si sé. È ciò che accade dopo aver riconosciuto il Messia, il Salvatore, L’Emmanuele, il Dio fatto uomo che vuole stare sempre con noi. Questo atteggiamento ha bisogno di preparazione, onde evitare che ci si perda e ci si perda il senso profondo della Salvezza.
don Domenico Bruno
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