Gv 10,27-30
Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
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Paolo e Barnaba mentre sono in missione ad evangelizzare vengono ostacolati dai Giudei, ma essi ricordano che il Signore nella Scrittura dice: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra” (cfr. At 13,14.43-52).
Le genti non rientrano nel popolo eletto, solo coloro a cui si stanno rivolgendo i primi cristiani. I pagani non conoscendo Dio si votavano ad ogni cosa. La loro ignoranza verso Dio era dovuta alla mancata considerazione da parte dei Giudei che con presunzione ritenevano che quelle persone non avessero dignità per conoscere Dio.
Per questo motivo le parole di speranza dettate da Paolo e Barnaba riempiono il cuore dei pagani che iniziano a rallegrarsi e a ringraziare la parola del Signore producendo un gran numero di conversioni. È lo Spirito che agisce, riempie il cuore di gioia e spinge alla conversione, è lo Spirito che se accolto produce frutto. Ma lo Spirito attecchisce se il pastore guida con amore e predispone i cuori, anzichè mortificarli e indispettirli.
Pensiamo a quanta gente non crede perché si sente giudicata da una Parola di Dio interpretata male (perché priva di Spirito Santo), o per l’atteggiamento di chi predica bene e opera diversamente… Pensiamo alla testimonianza di tanti cristiani laici che vanno a messa e fuori dalle chiese vivono in modo incoerente.
Gesù è il buon pastore che guida chiunque vuol far parte del suo gregge.
Ma qual è la funzione pasquale del buon pastore?
Il buon pastore va seguito per non smarrirsi e per ritrovare Vita. Come si fa per seguirlo? Ascoltando la sua voce: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10,27-30).
Il problema dell’uomo di oggi è ritenersi al di sopra di tutto e di tutti, senza bisogno di lasciarsi dire cosa è giusto e cosa non lo è. Quando l’uomo diventa maestro di se stesso si fa discepolo di uno stolto (cfr. Bernardo di Chiaravalle). L’auto referenzialità non apre lo sguardo e non permette un salto di qualità. Più che ai pagani ci assimiliamo a quei Giudei che non accettano che sia Gesù a guidarli.
Al contrario, la Vergine Maria è colei che non ha mai creduto di essere arrivata, che non credeva di poter vivere senza Dio, anzi ha scommesso tutto su di Lui ascoltando la sua voce per mezzo del suo messaggero, l’Angelo.
Maria, madre del suo stesso Agnello sacrificale, madre del suo stesso Dio, si è lasciata condurre dal Figlio-Dio. In Maria si realizza perfettamente ciò che dice l’Apocalisse: «l’Agnello sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7,9.14b-17).
Che bella Maria: nel ricevere l’annuncio del Angelo era spaventata, ma poi ha riconosciuto in quella voce la voce del suo pastore e si è lasciata guidare.
Che bella Maria: vedendo il figlio soffrire soffriva con Lui: il suo volto era rigato dalle lacrime ma non dalla disperazione, dal dolore ma non dalla morte. Quelle lacrime hanno poi trovato nel sudario del figlio l’asciugatoio che il Risorto le aveva preparato per togliere via le lacrime e rendere sua madre la prima partecipe della speranza eterna nella gioia dei Santi.
- E tu ti senti erede di questa Speranza?
Maria, madre della Speranza, prega per noi!
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