“Non valgo niente”, “sono uno dei tanti”, “nessuno crede in me”, “figurati se scelgono proprio me”…
Sono frasi che ricorrono spesso tra i giovani ma anche tra i più grandi. È il rischio che corre chiunque si senta parte della folla informe. Nel Vangelo di oggi (cfr. Mc 4,26-34) Gesù si rivolge proprio a quella folla caotica, spersonalizzante e svilente che non ti permette di emergere, ti conforma e soffoca ciò che ciascuno ha di originale.
Si salva solo chi ha un carattere forte e trova il coraggio di staccarsi e prendere in mano la propria vita riconoscendola come dono e distinguendosi facendo emergere le proprie qualità. Però, questa domenica Gesù si rivolge anche a coloro che non hanno quella forza e li invita a cercare quel carattere originale e bello che il Padre ha messo dentro ciascuno.
Il Signore ci ha fatti a sua immagine, quindi ricchi di doni e di bellezza. Sta ad ognuno coltivare questa immensità interiore. Non può dirsi figlio di Dio colui che non aiuta l’altro a vedere il bene dentro si sè, né chi chi non Aiuta l’altro a sentirsi guardato in modo particolare, apprezzato per quello che è. Questo mancato aiuto porta a una morte interiore nel pieno della vita.
Questo significa la parabola di oggi: il regno di Dio è come un uomo che getta il suo seme nella vastità del suo campo. Ogni seme cresce e germoglia e quando arriva il frutto se non viene raccolto si perde seme e frutto. E quel campo sarà pieno di frutti morti.
Ogni uomo di Dio deve avere gli occhi puri e meravigliabili, come quelli di un bambino, capaci di vedere il divino che traspare dal fondo di ogni essere (cfr. P.T. De Chardin).
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