Tre caratteristiche emergono dalla liturgia di oggi: una constatazione, una richiesta di umiltà, un invito.
La constatazione:
Isaia ci dice chiaramente che tutti (anche chi si dice non credente) sentiamo un’inquietudine alla quale spesso non sappiamo dare un nome, non sappiamo come placarla e cerchiamo i modi più stravaganti e dissoluti per metterla a tacere: “Di notte a Te anela la mia anima… dentro di me il mio spirito Ti cerca” (Is 26, 9).
Eppure ci vorrebbe molto poco per capire come Isaia che la nostra irrequietezza troverebbe la sua pace in Dio. Ma occorrerebbe un atto di umiltà…
La richiesta di umiltà:
Gesù nel Vangelo ci chiede diversi atti di umiltà, ma oggi chiede di riconoscerci poveri e inutili da poter ammettere che in effetti noi abbiamo bisogno di Dio, e ci affanniamo a cercare altrove le soluzioni alle nostre insoddisfazioni. Ma Gesù è chiaro: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e vi darò ristoro” (Mt 11, 28-30).
Ci vuole rigenerare colui che ci ha creati, ci vuole dare ogni giorno una nuova occasione per ripartire.
L’invito:
È palese e quasi obbligatorio che siamo chiamati a svolgere il nostro dovere di cristiani invitando alla conversione chiunque ci è vicino, a costo di essere sbeffeggiati, ma pure sempre mantenendo fede alla nostra missione: evangelizzare (sempre, chiunque, comunque). in questo, sapersi rendere conto delle reali situazioni di bisogno che ci sono intorno e di quante persone vorrebbe sentirsi portare da noi parole di Speranza, di Cristo… anche se inizialmente dovesse scambiarci per pazzi ed esaltati. Ma siamo chiamati ad essere labbra di Cristo e continuare a dare voce al Vangelo.
– So dare un nome alle inquietudini che provo? in che modo le placo?
– Ho l’umiltà di riconoscermi bisognoso della Sua misericordi? O vivo la presunzione dell’essere autosufficiente?
– Ho il coraggio di testimoniare sempre a chiunque e dovunque? So approfittare per vivere ciò in cui credo?