Chissà quante volte ci è capitato di ospitare una persona e preoccuparci che potesse trovarsi quanto più possibile a suo agio… magari però questa nostra preoccupazione l’ha messa proprio a disagio.
L’ospitalità è un atteggiamento squisitamente cristiano (pensiamo ai tanti istituti cristiani che hanno il carisma dell’ospitalità). Una delle opere di misericordia è proprio “dare rifugio al pellegrino”.
Nel Vangelo di Luca (10, 38-42) l’evangelista pone l’attenzione su Gesù e i discepoli sottolineando come questi portando in casa la Parola riescano a capovolgere tutte le abitudini e i modi di fare di quella famiglia. Un esempio per tutti è proprio quello di Marta e Maria.
Marta, convinta che per ospitare bisogna servire, addirittura tenta di conquistarsi la simpatia dell’ospite facendo emergere il mancato aiuto della sorella… Ma Gesù la rimprovera: ospitare è importante, ma non è l’unico atteggiamento che Gesù ci ha insegnato!
Maria si preoccupa di intrattenere l’ospite donandogli il proprio tempo, mettendosi in ascolto.
L’ascolto è il tipico atteggiamento del discepolo.
Gesù vuol essere ascoltato. Prima di fare ho bisogno di ascoltare, di imparare da Gesù: è il Signore che mi dice cosa devo fare.
Potrei mai pensare di scrivere se non ho mai imparato l’alfabeto? Potrei mai pensare di leggere se non ho mai imparato a riprodurre il suono delle lettere? Potrei mai amare se non ho mai ricevuto amore?
Il servizio non deve assillare, altrimenti rischia di far dimenticare l’atteggiamento dell’ascolto. Gesù non privilegia un atteggiamento, bensì riconosce che entrambi sono importanti e vanno insieme, ma uno è consequenziale all’altro.
Troppe faccende impediscono la compagnia…
Quante volte vado a Messa e sono distratto al pensiero di ciò che devo fare dopo, o da quello che mi è vicino…
Quante volte non vedo l’ora che la Messa finisca presto in modo da poter scappare senza nemmeno fermarmi un po’ a riflettere su ciò che abbiamo celebrato, sulla Parola che Dio ci ha rivolto, su anche solo una parola che mi ha colpito dell’omelia…
Quante volte faccio-faccio-faccio, ma non ho tempo per la preghiera, per la Messa… sono troppo impegnato (forse illudendomi che grazie al mio tanto fare cambierò il mondo) e non ho tempo per Dio…
Quante volte preferisco fare tante opere buone che mi facciano sentire più bravo, anziché stare in preghiera col Signore a farmi dire cosa e come devo fare…
Affannarsi e agitarsi, il sempre fare e il sempre dire è un atteggiamento pagano, non a caso Gesù ci ha insegnato il Padre Nostro esortandoci: “pregando non sprecate parole come i pagani” (Mt 6, 7).
Pregare significa anche saper stare, mettersi in ascolto. Amare il Signore vuol dire anche saper stare in silenzio, fermi, ascoltare quella Parola che intende animare e significare le mie azioni e mi purifica il cuore.
Fare molto è indubbiamente segno di amore, ma può anche far morire l’amore, perché trascura la relazione con l’altro…
Quanti genitori o nonni non avendo tempo per stare coi figli o i nipoti pensano di “comprarsi” l’amore del bambino riempiendolo di cose, ma privandolo del tempo.
Quanta gente oggi è depressa perché non ha nessuno con cui parlare, non c’è nessuno più disposto ad ascoltarla.
Quanti anziani muoiono di solitudine perché non c’è più un momento, in questo frenetico mondo, per fermarsi un po’ con loro… Non è forse con l’altro che incontro Dio?
Ospitare non significa riempire di cose, ma mettersi in relazione. E la relazione nasce dall’ascolto.
Dio non vuole le nostre parole o le nostre cose,
vuole solo la nostra compagnia, il nostro tempo.
L’amore è una relazione: amare vuol dire “darsi all’altro”, non “dare qualcosa all’altro”. È sul dono di sé che saremo giudicati; è sull’imitazione di Gesù che si dona in croce che ci giochiamo la nostra fede.
Io come ospito Dio?